ROSANNA MAGNANO
La guerra di trincea che contrappone da anni ricercatori e animalisti si è riaccesa in Italia nelle ultime settimane. È stato infatti appena assegnato alle Commissioni Politiche europee, Bilancio e Affari sociali della Camera e alle corrispondenti commissioni del Senato il decreto legislativo che recepisce la direttiva 2010/63/Ue sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Le Commissioni dovranno esprimere un parere entro il 13 gennaio.
Il provvedimento – che segue la legge delega n. 96 del 6 agosto 2013 – introduce ulteriori restrizioni rispetto alle disposizioni della normativa comunitaria e ha suscitato una vera mobilitazione da parte della comunità scientifica.
Nelle scorse settimane si sono susseguiti convegni e manifestazioni che hanno visto contrapporsi il mondo delle associazioni animaliste (con un corteo di Animal Amnesty a Milano) e i ricercatori, prima al Congresso nazionale Spera, al Cnr di Roma, poi all’Istituto Mario Negri di Milano (con la partecipazione di 800 scienziati) e infine alla Camera dei deputati con l’Associazione Luca Coscioni, per consegnare al Parlamento 13mila firme in difesa della sperimentazione animale.
Un clima incandescente, dove in gioco, sottolineano gli scienziati, c’è il futuro stesso della ricerca italiana. «Il Senato ha approvato degli emendamenti – sottolinea una nota di Spera, un raggruppamento di associazioni di ricercatori – che renderanno più restrittivo l’articolo 5 della direttiva europea. Quest’ultimo, infatti, stabilisce che gli animali possono essere utilizzati per la ricerca di base e per quella biomedica, finalizzata allo studio delle malattie e al loro trattamento. Invece, l’art. 13 della legge delega n. 96 del 6 agosto 2013, introduce una serie di divieti che limitano la ricerca di base, soprattutto quella finalizzata alla cura di specifiche malattie, in special modo la ricerca oncologica: il divieto di xenotrapianti; divieto di allevamento di cani, gatti e primati non umani; anestesia obbligatoria; divieto di uso di animali a scopo didattico. Se la legge fosse approvata in questa
forma dal nostro Parlamento, tanti laboratori di ricerca italiani sarebbero costretti a chiudere e la sperimentazione si sposterebbe al di fuori del nostro Paese, laddove la direttiva è stata recepita senza queste restrizioni: Gran Bretagna, Francia, Spagna, Belgio, Danimarca e Svezia».
Quello che chiedono gli scienziati, quindi, è che si rispetti la normativa Ue così com’è. «La direttiva europea è stata elaborata con grande difficoltà – ha sottolineato Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano nel corso del congresso Spera – in un notevole numero di anni, per conciliare le posizioni degli animalisti con quelle della ricerca e per ridurre la sperimentazione animale. La direttiva vuole uniformare le posizioni di tutti i Paesi europei in materia. L’Italia ha partecipato fin dall’inizio a questa discussione, non è stata esterna. Ma l’ostruzionismo è stato forte: e oggi ci troviamo di fronte
a una legge delega, che sarà totalmente attuativa dal primo gennaio 2017 perché quello che abbiamo ottenuto con i nostri sforzi è stata una moratoria di tre anni relativa a due punti: la proibizione di fare ricerca sugli xenotrapianti e di fare ricerca sulle sostanze d’abuso». «Tutto ciò che possiamo fare – ha continuato Garattini – è ricorrere alla Corte di giustizia europea perché in questo modo si viola l’articolo 2 della direttiva stessa».
Nel dibattito è intervenuta anche la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo, che ha mandato agli 800 scienziati riuniti a Milano all’Istituto Mario Negri un messaggio di solidarietà al direttore Garattini, obiettivo nelle settimane passate degli attacchi degli animalisti. «Chi sostiene l’abolizione della sperimentazione animale – osserva la senatrice a vita – deve assumersi la responsabilità di spiegare ai familiari dei malati i danni enormi derivanti dal mancato progredire degli studi scientifici dovuti all’impossibilità di studiare lo sviluppo cellulare fisiologico e patologico, i meccanismi delle malattie, l’effetto dei trapianti, la terapia genica, le molecole di sintesi, le possibilità delle nanotecnologie».
Nel frattempo la comunità scientifica ha inviato una lettera alle Commissioni XIV della Camera e del Senato per le Politiche comunitarie: «Ci auguriamo – si legge nella lettera – che le Commissioni nella loro funzione di valutazione possano riconsiderare le limitazioni degli emendamenti, non soltanto perché sarebbe causa di sanzioni economiche da parte dell’Europa, ma soprattutto per le conseguenze scientifiche che tali restrizioni potrebbero provocare alla già tanto mortificata ricerca italiana. Rimaniamo dell’opinione che il modo migliore per affrontare e risolvere problematiche relative alla sperimentazione animale sia quello di applicare la direttiva europea così come è stata concepita».
Quello che lascia perplessi gli scienziati è insomma l’atteggiamento restrittivo adottato dall’Italia, senza portare valide argomentazioni. «Perché vietare l’allevamento dei cani e gatti a scopo di ricerca – si chiede Marta Piscitelli, ricercatrice e vicepresidente dell’Associazione italiana per la scienza degli animali da laboratorio (Aisal) – se poi li posso comprare dall’estero?
Perché vietare le sperimentazioni sulle sostanze d’abuso, come si giustifica da un punto di vista sociale? Si tratta di una mortificazione del mondo scientifico e di un’apertura pericolosa a un approccio irrazionale».
Ma nel Dlgs ci sono anche altri problemi: «Il provvedimento complica e generalizza l’iter autorizzativo delle sperimentazioni animali – sottolinea Roberto Caminiti, professore di Fisiologia della Università Sapienza di Roma e presidente del Comitato per l’uso degli animali della Federazione delle Società europee di neuroscienze (Fens-Care) – prevedendo anche una valutazione del progetto da parte del Consiglio superiore di sanità in caso di utilizzo di primati non umani, cani e gatti. Un passaggio che rischia di allungare i tempi in modo insostenibile, ingolfando l’attività dello stesso ministero della Salute».
«È chiaro che sotto l’influenza di spinte populiste ed elettoraliste – conclude Caminiti – il Parlamento ad agosto ha approvato delle norme che, quando recepite dal Governo, metteranno in ginocchio la ricerca di base e parte di quella applicativa in Italia, soprattutto nel campo dell’oncologia sperimentale, delle sostanze d’abuso, nei modelli animali di malattie degenerative, della ricerca sul dolore. Limitare la ricerca fondamentale sui primati non umani (scimmie) è segno di una mancanza di un piano strategico sulla ricerca biomedica in Italia, un Medio Evo prossimo venturo».
Eppure i ricercatori ci tengono, in generale, a non essere identificati con i «vivisettori» o con i paladini dell’uso dell cavie: «La comunità scientifica – spiega Giulia Piaggio, dell’Istituto nazionale dei tumori Regina Elena di Roma – è alla ricerca continua di modelli animali che permettono l’uso di un minore numero di individui nella sperimentazione mantenendo una significatività dei risultati. Metodi di imaging, non solo bioluminescenti, sono molto utili a questo scopo e la comunità scientifica italiana è all’avanguardia su questo». Il numero di cavie utilizzate negli esperimenti, va ricordato, è in continua riduzione: gli ultimi dati ufficiali rilevano 830.453 animali, a fronte di 864.318 nel 2008 e di 908.002 nel 2007. Si tratta in larga parte di roditori (topi, ratti, porcellini d’India, criceti e conigli) ma ci sono anche 675 scimmie e 607 cani.
Conciliare l’indispensabile cammino della ricerca con la sensibilità sempre più diffusa verso la sofferenza animale sarà difficile. Ma il tentativo di riflettere serenamente va fatto. Il problema è anche di strategie comunicative sbagliate da parte della comunità scientifica, che in passato si è forse poco esposta al grande pubblico. A testimoniare che la cosiddetta «gente comune» è in grado di comprendere, ci sono le 13mila firme raccolte dalla petizione su http://www.salvalasperimentazioneanimale.it. Quindi la scienza ha ancora un’audience in Italia. Bisogna solo trovare le parole giuste.