EDITORIALE DI ELIO ROSSI
In dieci anni le quantità di medicinali assunte dagli italiani sono quasi raddoppiate: nel 2009 sono state prescritte 926 dosi giornaliere ogni mille abitanti mentre nel 2000 erano “solo” 580.Tradotto in pratica significa che i cittadini assumono almeno una compressa al giorno, 30 scatole a testa all’anno. A documentare questo fenomeno è il rapporto OsMed (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali), un report annuale elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità per monitorare la spesa farmaceutica in Italia. Ci sono diverse ragioni che spiegano questo fenomeno: l’uso sistematico degli antidepressivi soprattutto da parte delle donne, insieme agli antianemici e ai bifosfonati, mentre 8 bambini su 10 ricevono in un anno almeno una prescrizione farmacologica, in particolare antibiotici e antiasmatici.
Infine gli anziani di età superiore ai 65 anni, la cui spesa media assorbe almeno il 60% della spesa farmaceutica. Probabilmente esistono altre ragioni che possono spiegare un fenomeno così vasto e apparentemente inarrestabile. Forse si sta realizzando, in modo subdolo e strisciante, e spesso con la compiacenza, se non la complicità, di una parte dell’establishment medico scientifico, il desiderio di Henry Gadsen, direttore della casa farmaceutica Merck, che trent’anni fa dichiarò alla rivista Fortune: “Il nostro sogno è produrre farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”.
Parliamo dunque di disease mongering o mercificazione della malattia (tecnica di marketing mediante la quale si creano patologie a tavolino allo scopo di vendere più farmaci) una pratica spesso invisibile, che induce scelte terapeutiche inopportune, causando spesso malattie iatrogene e sprechi, che minacciano la sostenibilità economica dei sistemi sanitari pubblici sottraendo risorse utili alla cura e prevenzione di altre patologie, a maggior ragione in un momento di crisi economica come quello attuale, mentre si parla quotidianamente di tagli alle spese sanitarie e razionalizzazione delle risorse.
Sul piano culturale, questa pratica contribuisce a modificare il modo in cui vengono percepite la salute e la malattia, promuovendo una medicalizzazione del disagio e proponendo soluzioni tecnofarmacologiche ai problemi, anziché favorire una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini e una comprensione delle dinamiche che intervengono in tema di salute. Ne parliamo perché un’indagine del British Medical Journal e del Bureau of Investigative Journalism ha di recente rivelato che i tre consulenti che avevano redatto le linee guida dell’Oms ai governi sulle strategie e le misure da assumere in caso di pandemia di influenza suina, invitandoli esplicitamente a fare scorta di vaccini e farmaci antinfluenzali, erano stati precedentemente sul libro paga delle stesse case farmaceutiche.
Non si tratta dunque di una novità ma di un evento che si inserisce perfettamente nelle strategie di marketing delle maggiori case farmaceutiche, che hanno oggi come obiettivo non i malati ma le persone sane. Non è un fatto isolato: uno studio pubblicato su JAMA ha calcolato che l’87% di coloro che redigono linee guida cliniche ha conflitti d’interesse a causa di legami con l’industria farmaceutica e che il 59% ha rapporti proprio con i produttori dei farmaci relativi alle patologie per cui viene chiamato a stilare le linee guida.
La questione della trasparenza è salita alla ribalta del dibattito sulla sanità pubblica dopo la previsione drammatica dello scorso anno circa una pandemia di influenza da virus H1N1 che poi non si è verificata. Il rapporto del Consiglio d’Europa condanna il fatto che la mancanza di trasparenza del “processo decisionale” ha influenzato la pianificazione per la pandemia. Il Regno Unito, che aveva previsto almeno 65.000 decessi a causa del virus H1N1, ha speso circa 1 miliardo di sterline in stoccaggio di farmaci e vaccini.
Anche in Italia sono stati investiti 186,6 milioni di euro dal ministero della Salute per l’acquisto di 24 milioni di vaccini per l’influenza A, mai utilizzati e ormai prossimi alla scadenza, quindi inutilizzabili, su cui la Corte dei Conti non ha escluso “profili di responsabilità amministrativo-contabile” e ha espresso “molteplici perplessità” sulla gestione della pandemia. Teniamo conto che le aziende farmaceutiche hanno incassato con questa operazione, attraverso la creazione delle scorte di questi farmaci, più di 7 miliardi di dollari. In sintesi possiamo affermare senza tema di smentita che mentre un tempo si inventavano medicinali contro le malattie, ora sembra più semplice creare nuove malattie per generare mercati di potenziali pazienti.
Se esiste una pillola per ogni malattia, comprendendo in questo concetto oltre alla patologia in sé, anche il rischio di ammalarsi e il sentirsi ammalato (non invece le malattie rare che non fanno profitto), deve esserci anche una malattia per ogni pillola.
A questo punto ci si domanda se anche la recente proposta di includere la vaccinazione antivaricella tra quelle raccomandate per i bambini, da sola o insieme alla trivalente (morbillo, parotite, rosolia), proposta recentemente da una consensus conference, faccia parte dello stesso meccanismo per il quale, come abbiamo visto, si individua una terapia, in questo caso un vaccino, e si crea un allarme sociale, assolutamente ingiustificato, parlando di mortalità e complicanze certamente sovrastimate, per indurre paura e panico nelle famiglie e promuovere il ricorso alla vaccinazione di massa. Ci rimane solo da chiederci: quale sarà la prossima occasione per fare business e profitto a spese dei cittadini?