EDITORIALE DI ELIO ROSSI
L’Istituto Superiore di Sanità, con il sostegno di varie istituzioni e delle principali associazioni e società scientifiche del settore, ha lanciato tempo fa una campagna per la sicurezza nell’uso delle medicine complementari/non convenzionali. Una locandina che contiene un decalogo per un uso consapevole delle risorse di fitoterapia, agopuntura e medicina cinese, omeopatia, ayurveda, ecc. e che lancia lo slogan, del tutto condivisibile: “conoscerle per usarle al meglio”, è stata inviata a tutti i medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta e ai farmacisti, per affiggerla nel proprio luoghi di lavoro.
Questa iniziativa, di per sé lodevole, non ha mancato di suscitare varie polemiche e proteste, a cominciare dagli erboristi, molti dei quali sono oggi in possesso di una laurea triennale in Tecniche erboristiche, che si sono sentiti ingiustamente esclusi dalla serie di figure professionali a cui si consiglia ai cittadini di rivolgersi, per usare le medicine naturali in modo corretto. Da più parti è stato segnalato che le medicine “dolci” sono così definite proprio perché sostanzialmente prive o quasi di effetti avversi, al contrario della maggioranza dei farmaci convenzionali, in molti casi oggetto di segnalazioni da parte della farmacovigilanza e, in molti casi, anche di provvedimenti di sospensione dalla vendita, proprio per le reazioni avverse indesiderate che sono in grado di provocare. Va detto che questa campagna in realtà non sembra essere schierata pregiudizialmente né a favore, né contro le medicine complementari/non convenzionali, ma va anche rilevato che i contenuti di una campagna, per quanto positivamente motivata, possono essere facilmente usati, e anche manipolati, magari per sostenere tesi molto diverse da quelle che hanno ispirato i promotori.
I toni riportati da alcuni articoli di stampa, per esempio, sono sembrati francamente eccessivi, non si sa se per un’accentuazione tipica del sensazionalismo giornalistico oggi imperante, oppure se da parte di chi ha lanciato la campagna, magari con l’intento di compensare un messaggio che poteva sembrare un invito e un incoraggiamento all’uso, anziché un warning che ne limiti l’impiego, com’era forse nelle speranze di qualcuno.
È vero che i dati fino ad oggi disponibili ci indicano che le medicine complementari, per lo meno quelle più diffuse in Italia, sono sostanzialmente sicure, anzi sicurissime. Gli effetti avversi registrati in omeopatia sono rari (2-3% dei casi, e di entità trascurabile); in agopuntura sono praticamente assenti, e per quanto diverso sembra essere il discorso per la farmacoterapia cinese e l’ayurveda, e per la fitoterapia, anche in questo caso il fenomeno è certamente di dimensioni ridotte. Ed è su questa disciplina che si incentra il problema, almeno in termini di sicurezza del prodotto. A parte i casi di gravi reazioni avverse segnalati, di cui comunque sarebbe bene verificare fino in fondo l’accertamento del nesso di causalità fra consumo di prodotto fitoterapico e patologia intercorsa, la preoccupazione, condivisibile, è verificare le possibili interazioni fra farmaci (e integratori) vegetali e farmaci convenzionali a cui spesso vengono associati. Un fenomeno questo, ancora poco studiato e che certamente non si può più ignorare.
Vero è che non esiste soltanto il prodotto farmaceutico. È importante valutare anche le procedure con cui le medicine complementari vengono prescritte e applicate, con quale tecnica, e come ci si comporta con le terapia convenzionali già in corso e che lo stesso paziente desidera “sostituire” il prima possibile con altre terapie naturali. Il tema della sicurezza delle pratiche e dei prodotti, farmaci e integratori, della medicina complementare, comunque lo si veda, è da considerarsi un tema di primaria importanza. Quindi tutte le componenti del nostro settore devono contribuire, ciascuno a partire dalle proprie competenze, per garantire ai cittadini il massimo della sicurezza nell’uso, sia in termini di competenza professionale che di trasparenza e tracciabilità dei prodotti.
È proprio questo il punto: come possiamo garantire il cittadino se non esiste, a parte le regole di buona pratica nella produzione farmaceutica, una regolamentazione sulla formazione professionale, e anche la minima informazione è negata al paziente, con la proibizione di allegare al medicinale un foglietto illustrativo? La raccomandazione all’Istituto Superiore di Sanità è che, nel presentare a vari livelli questa iniziativa, si evitino toni che possano essere trasformati in inutili e controproducenti allarmismi; che si arrivi cioè a trasformare una campagna utile nella sostanza, in una crociata contro l’uso, sempre più diffuso, dei prodotti naturali.
Una volta tanto si vorrebbe vedere l’ISS impegnato non solo nella farmaco-fitovigilanza, ma anche nel sostenere agli sforzi che tutto il settore da tempo sta producendo per migliorare ad ogni livello la qualità delle prestazioni e dei servizi, per esempio sostenendo la ricerca e sviluppando l’aggiornamento professionale in questo settore. In poche parole, riconoscendo e valorizzando il contributo che le medicine complementari quotidianamente forniscono per il miglioramento della salute e del benessere dei cittadini.